E come è andata. Bene. Cacchio.
Sveglia alle prime luci dell’alba. Con gli occhi socchiusi,
dalle ore arretrate di sonno che nessuno più mi renderà indietro. A tastoni nella
stanza intercetto la valigia, la chiudo finalmente e la trascino in fondo alle
scale, fuori dal cancello, sull’auto già in attesa che mi lascerà all’aeroporto.
Se non fosse per il vento, e per la coda che rimbalza a spintoni nel cielo.. ma
atterriamo. London express, Victoria station, Cromwell road. Una sosta in hotel
e siamo in strada. A pochi passi dal Natural History Museum. Una cabina rossa, una giostra accesa, la città ancora illuminata a festa. Quello che resta di
Londra è un muffin ai mirtilli, le uniformi dei bambini di un collegio del
centro, che vanno a scuola col sorriso su un monopattino d’argento. Un club
sandwich divorato in un pub di Oxford street, il profumo dell’India, del
basmati. One “chicken tikka masala”. L’adrenalina
del mattino, la stanchezza della sera. Sarà per me la città dei girasoli,
quelli di Van Gogh alla National Gallery, del sabato a Notting Hill, del battello
che fila via sul Tamigi. La città dei vecchi dischi, dei grandi magazzini, di
Harrods e New Bond Street. Dei musei,
gratuiti! Delle ballerine color cipria acquistate da Topshop. Senza calze a
dispetto del freddo. Indossate di fretta. Un pit stop. Quello che resta è una
passeggiata nel parco, lo scoiattolo arguto di Hyde Park dritto in posa per una foto, l’abbonamento
zona 1-2, l’abbraccio di Ro. Il
sushi di lusso da Nobu, il conto salato, la boutique di Chanel. Resta un libro
illustrato per bambini, la guida di timeout: Tate Modern/Cattedrale di Saint Paul. Ho preso il
taxi fino a Westminster perché avevo deciso così. Da Trafalgar, come Kate.
So
che qui ci tornerò. London Eye chiuso per manutenzione.
La scusa ce l’ho.
P.s. 5 giornate di sole / It rains more in Rome