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CUORE DI SEPPIA

Journal of poetry - ART - SPIRIT - LIFE



lunedì 28 giugno 2010

28 giugno


Su un battello verso Mariefred ho dimenticato cosa fosse il tempo.
La distanza da me a dove.
Le ore. Le stelle. La porta. Il riferimento.
Ho preso forma di foglia. Più volte.
Forma di rosa i miei capelli stanchi incatenati al vento.
Mi sono chiesta quante spighe di sole ci fossero fra me e il cielo,
il suo lamento eterno, quell'orizzonte chiaro di rame fuso al centro.
Ho raccolto sulle onde del mare un canto per me.
Strazio azzurro che non ha fine mai.
Che un filamento dolce ricama a sera sul mio braccio.
Annoda il mio respiro alla sua eco.
La barca andava ed io con lei.
Il verde prima. Il verde sempre.
E più avanzava, più io restavo indietro.
Toccavo il fondo della terra nera fino all'incendio che la consuma
e, riemersa...
L'acqua.
Il livido della scogliera.
Per gli occhi passava un corteo di nuvole in posa, di seta.
Per essi la linea tracciata, il proibito dell'infanzia
quando è solo primavera.

giovedì 24 giugno 2010

Il giorno più lungo...


C'è una tradizione da rispettare!
Durante il venerdì del terzo fine settimana di Giugno si celebra in Svezia la festa di mezza estate (Midsommar), con la quale si accoglie ogni anno con gioia (e con ansia) l'arrivo della bella stagione.
Una ricorrenza che offre ai cittadini di Stoccolma l'occasione per fuggire in campagna, ritrovarsi con gli amici nei parchi più verdi e godere di momenti di svago e relax.
Sui prati si consuma un pic-nic dal menù nordico con aringhe marinate, salmone, fragole e snaps, tipica grappa aromatica, cantando e saltellando intorno all'albero di Maggio (Maypole), eretto per i festeggiamenti e decorato con foglie, rami, fiori e nastri colorati.
Nonostante sia stata poi cristianizzata e riconosciuta come festa di San Giovanni Battista, la celebrazione affonda tuttavia le sue radici più profonde in antichissimi riti, conservando radicate affinità con culti pagani.
Uno di questi, legato a Midsommar, mi affascina miseramente.
Un tempo, le fanciulle non maritate avevano l'usanza di raccogliere nei campi sette fiori di varietà diversa con i quali confezionare un bouquet che custodivano sotto il cuscino la notte prima della festa. Leggenda vuole che durante il sonno ogni ragazza avrebbe poi sognato il suo futuro sposo.
Se non per scetticismo, almeno per curiosità ho deciso di andare anch'io alla ricerca dei profetici fiori del destino.
Se riuscirò a prender sonno quella sera, nonostante l'impazienza per l'importante responso, a non sognare il criceto del vicino, mia zia in mutande o Joseph Roth (che è deceduto alquanto) e, più di ogni altra cosa, a ricordare tutto al mio risveglio, prometto: vi farò sapere chi la sorte (con-sorte) avrà scelto per me.

(Per precauzione intanto, eviterò il crisantemo).

giovedì 17 giugno 2010

Un vuoto per sempre


Capita a volte (ditemi che è successo anche a voi) di ritrovarsi al mattino inaspettatamente allegri, animati da buone intenzioni e pieni di voglia di fare.
Può accadere, in tali e piacevoli casi, di fischiettare un ritornello per strada, accellerare il passo saltando i gradini, salutare il vicino alterato sorridendo a un suo gesto scortese.
È in quei giorni insospettabili che una forza oscura governata da marte, mettendo in completo subbuglio il tuo già precario piano astrale, ti convince a pitturare le pareti di casa lasciate in bianco da mesi; a recuperare in soffitta il kit di bricolage per realizzare cornici con rami e conchiglie; preparare una torta a tre strati con panna, spumoni, meringhe e glassa alla vaniglia; montare i settantanove pezzi della scacchiera che hai preso all'IKEA; partire alla ricerca del Graal.
Una subdola energia calamitosa si impossessa delle tue ultime resistenze e non hai scampo.
Ero anch'io di buon umore ieri pomeriggio.
In biblioteca avevo lavoro arretrato e ho pensato di rendermi utile e darmi da fare.
Non ho neppure fatto in tempo a salire sulla scala, a raggiungere gli scaffali più in alto per riporre i libri e sistemarli in fila che: BUUUMM!! STAAAM!! CRASSSHH!! PATATRACK!!
A terra, in... penso miliardi, sì, in miliardi, trilioni di pezzi, riposava in pace il lampadario di Gio Ponti, unicum artistico di gran pregio.
Immagino sia ipotizzabile a questo punto, ne converrete anche voi, che, una volta tornata in Italia, di me in Istituto non si accuserà eccessivamente la mancanza.
Potrò almeno consolarmi sapendo con certezza di aver lasciato un vuoto per sempre.

venerdì 11 giugno 2010

Mi hanno proposto di restare ...


Ho costruito con le mie amiche italiane una bandiera svedese di cartone, l’ho sventolata con loro il 6 giugno a Skansen, ho aspettato l’arrivo del Re e della Regina intonando con centinaia di patriottici svedesi l’inno nazionale. Ho camminato per giorni, frantumando i chilometri, alla ricerca del miglior dolce alla cannella della città. Ho divorato il Pytt y Panna del Pelykan. Ero all’Ambasciata Italiana per la Festa della Repubblica su invito dell’Ambasciatore. Ho scoperto negli archivi dimenticati dell’Istituto Italiano di Cultura un’edizione di Vita di un uomo di Ungaretti con dedica ed autografo dell’autore. Ritrovato delle lettere di Moravia e Calvino. Ho le mani spaccate dalla polvere. Preso l’aereo da sola. Riso senza respiro come da troppo non mi accadeva. Allestito una mostra di libri antichi. Ho passato buona parte del tempo a stupirmi di quanto verde ci sia a Stoccolma, quanta natura. Un uccello mi ha cagato sul braccio domenica al parco. Passeggio accanto al mare tutti i giorni. Adoro Gunnar e Diego, il salmone e la torta al formaggio che mi mettono nel piatto. Il letto di Gio Ponti in cui dormo. Ho apprezzato le polpette con la marmellata e non dico mai di no al cioccolato fondente col peperoncino. Sto abituandomi al cambio poco vantaggioso dell’euro, all’allarme che prima o poi farò scattare, al sapore dell’aneto nelle patate, al fresco che di sera arriva dal canale, al cielo ancora chiaro di notte. Non ho disertato il festival culinario e ci sarò per le nozze della Principessa. Non posso più fare a meno della fika. Amo le lampade accese delle case di Ostermalm, il Moderna Museet, la mia bicicletta. In svedese so solo dire grazie e ciao, le uniche parole di cui un uomo avrebbe bisogno per vivere.
Ho paura di allontanarmi da qui, ma probabilmente non avrò il coraggio di rimanere.

martedì 1 giugno 2010

Biblioteca[ria]



Così Laura, paziente bibliotecaria dell’Istituto Italiano di Cultura che umilmente sto affiancando in questi giorni di tirocinio a Stoccolma, esordisce serafica: “Volevo farti sapere che a fine mese sarò in ferie e lascerò tutto nelle tue mani. Tue la gestione e la responsabilità della biblioteca. Ti occuperai della circolazione. Ecco gli orari di apertura al pubblico. Qui le schede di prestito. Vanno compilate, stampate, firmate, consegnate. Da qui ricevi e inoltri le chiamate. Qui trovi le informazioni sugli utenti. Mi raccomando fai il backup ogni sera, ecco le chiavi dell’archivio, i periodici sono... cia.. cia.. cia..”. Le ultime parole non le ho neanche ascoltate, non sono riuscita proprio a decifrarle.
Il panico, la salivazione arretrata, il battito alterato, accelerato (scomparso), i famosi vuoti di memoria, le vertigini, un improvviso e non proprio inspiegabile senso di pericolo, imminente, nauseante, tutto questo è niente in confronto alla fifa più completa che mi ha sorpresa in un momento e che a malapena il mio istinto di sopravvivenza è riuscito a celare dietro un sorriso ebete e poco rassicurante.
Io , sola, biblioteca, tanti svedesi = casini (internazionali). Neanche Caramello (il mio gatto lesbo) lascerebbe in custodia a me le sue crocchette di pesce. La mia goffaggine è proverbiale ed è capace di ogni cosa, non conviene sfidarla, è tenace e riesce in tutto quello che fa, e in tutto quello che faccio.
Sarà proprio questa l’occasione per smentirne la potenza distruttrice?
Beh, ai posteri l’ardua sentenza! Se ci sarà ancora qualcuno. (Dobbiamo rendere noto che al momento non è dato sapere se a seguito dell’esperimento di cui sopra, vi saranno ancora esemplari viventi sulla terra.)


In foto: Biblioteca dell' Italienska Kulturinstitutet di Stoccolma.
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