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CUORE DI SEPPIA

Journal of poetry - ART - SPIRIT - LIFE



domenica 25 settembre 2011

N a d i a


Mi stringeva forte e le mostravo come andare in bici. Sulla mia. Quella rosa senza più rotelle, regalo di papà. Le tenevo la mano quando aveva paura dei mostri. Secondo i suoi calcoli dovevano aver infestato il corridoio di casa cibandosi del buio. Così lasciavo la luce accesa anche di notte, perché uno spicchio di quella arrivasse al suo letto. Per un po’ le bastò la luna. Poi, sempre più spesso, al mattino la ritrovavo accanto a me. Sonnecchiante e soddisfatta. Di quell’incursione riuscita, studiata. Il mio cuscino sapeva di mandorla. E di lei, non di me. Ai pupazzi che ricucivo tagliava la testa. Li aveva incisi tutti, tranne Barbie sirena. La risparmiò per sfilarle le braccia. Ero fiera di lei. Non chiedeva mai. Non ne aveva bisogno. Nessuno al mondo avrebbe potuto mai ottenere da me quello che lei sapeva avere con poco. Era selvatica e filata col miele. Libera. Ho sempre percorso alla cieca ogni strada. Voltandomi a ogni passo sperando che lei ci fosse ancora. Le cedevo il mio posto sull’altalena. Tiravo le corde fino a farle mancare il fiato. Così le piaceva. E restavo a guardarla per ore, stanca, pur di lasciarla giocare da sola. Toccava per prima il portone di casa e per prima abbracciava mia mamma. Ho sempre cercato di darle l’esempio, è sempre stata lei ad insegnarmi qualcosa. E penso all’estate fresca e alla terra, al 1990 e alla terrazza che non finiva mai, mentre la sento gridare. Dall’altra parte del vetro. In una sala travaglio. Chissà se vede il cielo da lì. Io lo cerco da una finestra aperta del reparto. La notte segna il tempo del mistero. La prima stella cadente il miracolo.
L’amore che avevo per Lei adesso è duplicato.

venerdì 16 settembre 2011

Cartolina dal Futuro


Secondo le ultime statistiche dell’Unione Europea, la Svezia è tra i paesi che destinano il maggior contributo pubblico alla ricerca e allo sviluppo. Circa il 4% del suo prodotto interno lordo, infatti, finisce nelle casse di musei, circoli artistici e scuole. La notizia non mi coglie di sorpresa. Ne prendo nota mentre sorseggio un cappuccino sulla terrazza panoramica del Kulturhuset. Un palazzone in vetro adibito a “Casa della Cultura”. “Investiamo nei piccoli per un futuro grande” è lo slogan che giganteggia sui muri dell’edificio. Cinque piani di spazi dedicati alla lettura, allo svago e all’arte. Dal teatro, con rappresentazioni di opere contemporanee, alle gallerie fotografiche, dalla sala degli scacchi, alla biblioteca di fumetti manga. Al pianoterra c’è una fornita emeroteca. Da qui passo in rassegna i quotidiani del mondo senza spendere un soldo. Leggo anche che in Italia l’Accademia della Crusca è a rischio chiusura. Scuoto la testa. Non vedo l’ora di voltare pagina.


Pubblicato su A, num. 38, settembre 2011

giovedì 15 settembre 2011

8372


[...]
Credono forse
davvero
che siamo vivi
noi che stiamo qui
e da questo luogo
parliamo così
come se davvero fossimo vivi
Davvero pensano che si chiami salute
davvero pensano che si chiami ragione
ciò che in noi è rimasto
della salute e della ragione di un tempo?

Non vedono, non sentono forse
non sanno forse che noi,
quelli rimasti, siamo più morti di tutti
i nostri morti, e che qui oggi, con la loro voce,
la voce dei nostri morti, dalle loro gole,
gridiamo e con il loro grido - noi parliamo?

Non ci permettete di
guardare al passato!
E noi non lo guardiamo, ma è lui a guardarci!

Voi dite:
guardate al futuro!

Ma noi, nessun
futuro in nessun luogo
riusciamo a vedere
né vediamo che lui
con un sol occhio
guardi noi
e neppure che ci veda
e che di noi si preoccupi
.

da Le lacrime delle madri di Srebrenica
di Abdulah Sidran


Vi è capitato mai di passare oltre? Di attraversare la strada alla vista di un vecchio scalzo col berretto pieno di spiccioli rosa? Di far finta di niente? Di tacere una verità importante per convenienza? Alzare il volume delle cuffie per seppellire le urla della coscienza?
Che male che fa a me, ogni volta.
Mi lacera e dilania e brucia come sale su una ferita liquida che arde.


In Bosnia si continua ad aspettare.
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