Una doccia svelta, a sciogliere
le ore d’ufficio. Una camicia fresca e il rossetto rosso per la prima della
Tosca. Poche fermate e si riaffiora. Quanto
è bella la città quando il sole non cuoce più, la pietra è ancora calda, le
Terme di Caracalla, la brezza della sera di un’estate appiccicosa, i capelli
sciolti, l’attesa, la prima nota. Cavaradossi, ma io aspetto Scarpia. Lei in un
abito rosa, Roma fascista, i rintocchi di una campana. E lucean le stelle,
il
cuore che trabocca. Perdo la metro per tornare a casa. Aspetto il
notturno, così
due ciclisti con le gomme a terra. Quanto è bella la città all’una di
notte, i Fori sonnecchianti. Si fa ancora in tempo per una granita di
gelsi. Mizzica. La via di sempre, le chiavi, tanta sete. Un pigiama
improvvisato per Anto
che resta a dormire da me. Le confidenze di un’amica, quello che resta
di una
serata innamorata. La musica, la prosa, un senso di pienezza che
s’insinua. Ma nel mio cuor che s’annida? S’accomodi, io faccio strada.
4 anni fa
Il tuo racconto è molto coinvolgente
RispondiEliminaci credi se ti dico che l'anno scorso dopo due mesi di afa è arrivato il diluvio proprio sull'ultimo atto, costringendo le signore in abito da sera a fuggire dal teatro all'aperto, tacchettando sotto la pioggia? resta ignoto. sfiga nera...
RispondiElimina