Una delle cose su cui puoi
davvero contare nella vita è il ritardo dei voli Alitalia. E così si parte, con
un’ora in più d’attesa, da spendere, senza neanche dirlo, in libreria. Posto
passeggero 139D. E affianco a me [thanks to Federica, l’Hostess amica] nessuno.
Lo spazio necessario per schiacciare, dopo i ravioli scotti al formaggio che non
penso sia formaggio, un pisolino Atlantico. Invidiata da tutti. Stipati,
accucciati come ragni in un buco troppo stretto. 9 ore. Di sbadigli. Un libro
aperto, dormiveglia. Sudoku. Biscotto.
Sudoku. “Ma si può usare l’ipod?”. Un film. I titoli di coda, le nuvole. Solo nuvole.
10.000 m di altezza. Il posto più lontano dalla terra per pensare a mio padre,
che si aspetta al più presto uno squillo ed è ancora a lavoro. Un lago. Il
Lago. Hudson. La punta dell’Empire nella foschia. NY. Un cane addestrato che intercetta il mio zaino, lo annusa, ritorna,
poi va. Le impronte, la foto. “Mi segua”. E ti pareva. Condotta nel limbo dei sospetti
in attesa di giudizio. Precauzione. Gli Stati Uniti vogliono essere sicuri che io
non abbia bombe a mano nella trousse. {Stavolta le ho lasciate a casa}. Benvenuta
in America. Taxi. 34th Strada. La mia stanza è di qualcuno che è appena andato
via. Fra poco saprà di me.
4 anni fa